Presentazione del restauro della Fontana della Venere Ciprea

Presentazione del restauro della Fontana della Venere Ciprea

Il Museo Civico di Castelbuono, insieme all’Amministrazione comunale, è lieto di annunciare la presentazione alla comunità del restauro della “Fontana della Venere Ciprea”, lunedì 23 dicembre ore 11.00, Corso Umberto I, Castelbuono.

 

L’intervento conservativo, affidato a RestaurArte di Belinda Giambra, è stato commissionato dal Museo Civico di Castelbuono in collaborazione con il Comune di Castelbuono, sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza per i Beni Culturali di Palermo. Grazie a questo restauro il Museo Civico si impegna nella conservazione e valorizzazione del patrimonio storico, artistico e monumentale di Castelbuono, preservando e consolidando la bellezza e l’integrità dei suoi beni.

L’intervento di restauro condotto negli ultimi mesi ha permesso di risanare le attuali condizioni di degrado delle superficie marmoree, murarie e idrauliche, causate dal dilavamento e dal percolamento, nonché per la presenza di alcune lacune e fratture delle superfici che impedivano la corretta ricezione dei valori stilistici e storico-artistici della fontana. La fase preliminare ha incluso una serie di esami diagnostici conoscitivi per accertare lo stato di conservazione dei materiali e di identificare le tipologie e le specifiche tecniche di intervento sia sull’apparato decorativo che sulla struttura idraulica.

 

La storia della Fontana 

La Fontana della Venere Ciprea, chiamata un tempo Fontana Grande ed oggi detta “I Quattru cannola” (per i quattro cannelli dai quali sgorga l’acqua) è una delle più antiche fontane di Castelbuono. Esisteva già nel 1574 quando i giurati dell’Università di Castelbuono assegnarono l’appalto per la ricostruzione prima a Nicolino Gambaro (mastro originario di Genova) e al socio Leonardo Tumminaro, originario di Geraci, e solamente un anno dopo al lapicida di Carrara mastro Giuseppe Longo. La nuova architettura prevedeva un impianto probabilmente simile a quello attuale caratterizzato da un fondale movimentato da nicchie, sculture, mascheroni e vasche nelle quali l’acqua zampilla per poi cadere nel sottostante abbeveratoio. Nel 1614, su ordine del marchese Giovanni III Ventimiglia, i giurati affidarono a Gian Francesco Lima (𝑓𝑎𝑏𝑒𝑟 𝑚𝑢𝑟𝑎𝑟𝑖𝑢𝑠 𝑒𝑡 𝑚𝑎𝑔𝑖𝑠𝑡𝑟𝑎𝑒 𝑎𝑐𝑞𝑢𝑒) il compito di eseguire importanti lavori di ristrutturazione alla Fontana Grande in concomitanza con i lavori di potenziamento della rete idrica cittadina. In quell’occasione venne collocata in cima alla fontana la statua di Afrodite e l’iscrizione che ne commemora il momento.

 

La struttura della Fontana

La fontana ha un impianto verticale tripartito. Alla base si trova la vasca centrale più grande addossata ad un fondale in muratura adornato con quattro antichi pannelli a bassorilievo in marmo che raffigurano scene tratte dai miti classici (Venere e Marte sorpresi da Vulcano e il Giudizio di Paride). Quattro cannelli riversano l’acqua nella vasca più grande che funge anche da abbeveratoio. Una cornice separa la base dalla parte centrale in cui si aprono tre nicchie ai piedi delle quali si trovano tre vasche più piccole. La nicchia centrale, la più grande, presenta la statua di Venere con Cupido. Le nicchie laterali, più piccole, presentano piccoli mascheroni con cannelli da cui fuoriesce l’acqua. Al centro della cornice superiore campeggia lo stemma dei marchesi di Geraci, Giovanni III e della moglie Dorotea Branciforte. Sull’attico, sopra la lapide, si trova la statua di Afrodite accovacciata.

 

La statua ritrovata

La statua che svetta sulla fontana rappresenta Afrodite in una posa originale, accovacciata, mentre compie un bagno sacro o nell’atto di coprirsi con le braccia mentre si accorge, voltando la testa, che uno spettatore la sta osservando. Studiosi locali hanno interpretato la statua anche come la rappresentazione di Andromeda legata allo scoglio pronta per essere divorata da un mostro marino. Tuttavia, il tipo iconografico, noto in antichità e usato più volte come modello da artisti del Rinascimento, a cui si attribuisce la statua di questa fontana, è stato identificato nella Venere in bronzo attribuita da Plinio il Vecchio allo scultore asiatico Doidalsas, che la realizzò intorno alla metà del III sec. a.C. per Nicomede I, re di Bitinia. Numerose sono le copie e le varianti di questo archetipo che riguardano la presenza di un piccolo Eros o la posizione delle braccia della dea. In alcune copie, come quella di Castelbuono, le braccia e il ventre della dea sono cinti da ornamenti, come bracciali o cinture. Il ginocchio piegato a terra è sicuramente un’integrazione realizzata per posizionare la statua in cima alla fontana, e molto probabilmente anche la testa, che presenta una torsione insolita, è opera di un successivo restauro. La statua che rappresenta Afrodite fu rinvenuta nel 1614 tra gli ornamenti del vecchio parco del Marchese Ventimiglia ormai in disuso. Con la risistemazione della fontana si diede alla statua il posto più degno, in alto, sopra una fontana tra le ninfe, come recita la lapide che ne tramanda l’avvenimento:

𝐃.𝐎.𝐌. 𝐈𝐧𝐟𝐨𝐫𝐦𝐢𝐬 𝐞𝐫𝐚𝐦 𝐞𝐭 𝐬𝐨𝐫𝐝𝐢𝐛𝐮𝐬 / 𝐢𝐦𝐚 𝐟𝐮𝐧𝐝𝐞𝐛𝐚𝐫; 𝐧𝐮𝐧𝐜 𝐬𝐮𝐫𝐬𝐮(𝐦) / 𝐯𝐢𝐯𝐨 𝐦𝐢𝐜𝐚𝐧𝐬 𝐜𝐨𝐦𝐢𝐭𝐚𝐭𝐚 𝐧𝐢𝐦/𝐩𝐡𝐢𝐬. 𝐇𝐢 𝐭𝐚𝐦𝐞𝐧 𝐚𝐝 𝐢𝐧𝐬𝐭𝐚𝐫 𝐦𝐢/𝐡𝐢 𝐟𝐢𝐱𝐞𝐫𝐞 𝐥𝐨𝐜𝐮𝐦. 𝐇𝐢𝐞𝐫𝐨𝐧𝐢𝐦(𝐮𝐬) 𝐓𝐫𝐢𝐦𝐚𝐫𝐜𝐡𝐢, 𝐃(𝐨𝐦𝐢)𝐧𝐢𝐜𝐮𝐬 𝐗𝐚𝐥𝐚𝐛𝐨, 𝐎𝐭𝐭𝐚𝐯𝐢(𝐮𝐬) 𝐇𝐚𝐫𝐞𝐫𝐚 𝐞𝐭 𝐎𝐭𝐭𝐚𝐯𝐢(𝐮𝐬) 𝐁𝐚𝐧𝐝𝐨 𝐢𝐮𝐫𝐚𝐭𝐢. 𝐀𝐧𝐧𝐨 𝐃(𝐨𝐦𝐢𝐧𝐢) 𝐌𝐃𝐂𝐗𝐈𝐈𝐈𝐈

𝐸𝑟𝑜 𝑑𝑒𝑓𝑜𝑟𝑚𝑒 𝑒 𝑟𝑜𝑣𝑒𝑠𝑐𝑖𝑎𝑡𝑎 (𝑎𝑏𝑏𝑎𝑛𝑑𝑜𝑛𝑎𝑡𝑎) 𝑡𝑟𝑎 𝑙𝑒 𝑠𝑝𝑜𝑟𝑐𝑖𝑧𝑖𝑒; 𝑜𝑟𝑎 𝑣𝑖𝑣𝑜 𝑖𝑛 𝑎𝑙𝑡𝑜, 𝑠𝑝𝑙𝑒𝑛𝑑𝑒𝑛𝑡𝑒, 𝑎𝑐𝑐𝑜𝑚𝑝𝑎𝑔𝑛𝑎𝑡𝑎 𝑑𝑎𝑙𝑙𝑒 𝑛𝑖𝑛𝑓𝑒. 𝑄𝑢𝑖 𝑓𝑖𝑛𝑎𝑙𝑚𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑠𝑜𝑛𝑜 𝑐𝑜𝑙𝑙𝑜𝑐𝑎𝑡𝑎 𝑖𝑛 𝑢𝑛 𝑙𝑢𝑜𝑔𝑜 𝑎 𝑚𝑒 𝑎𝑑𝑒𝑔𝑢𝑎𝑡𝑜. […] 𝐴𝐷 1614

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